C’è qualcuno che definisce il limite tra il tempo giusto e sbagliato? C’è qualcosa che delinea il percorso lavorativo migliore o peggiore? Non esiste risposta corretta, tutto è oggettivamente soggettivo.
Siamo spesso abituati a rispettare delle tappe della vita: a 3 anni dovrai assolutamente scandire bene delle parole; a 10 anni non potrai non saper praticare alla perfezione almeno uno sport; a 18 anni guai se non prenderai la patente; a 21 anni laurea triennale e a 23 laurea magistrale; a circa 25 dovrai pensare al matrimonio e a 30 anni si immagina sarai già genitore. Per non parlare della carriera lavorativa: il posto fisso è la scelta migliore!
Eppure non esiste una tabella di marcia o un galateo della vita, così come non dovrebbe esserci una scaletta imposta dalla società: ognuno ha i propri tempi.

Quanto più saremo affannati dalla necessità di ricercare le condizioni ideali per vivere una vita ideale, tanto più ne rimarremo delusi. Con l’illusione, infatti, di ricercare la perfetta condizione, saremo destabilizzati e spaventati di non esserci riusciti.
Il cervello umano è una macchina perfetta, ma lenta, molto lenta… nel tentativo di velocizzare tutto, andremo incontro a delusioni, affanni, malesseri e frustrazioni. Il giudizio altrui dovrebbe rimanere tale e non può essere di certo quello a renderci più o meno orgogliosi di ciò che siamo. A volte i talenti, per emergere, hanno bisogno di tempo, non di fretta; è chiaro che le opportunità vadano colte al volo, ma è altrettanto vero che, qualora non ci fossero, non dovremmo temere di non esserci riusciti.
Quanto contano le aspettative nella società di oggi? Tanto, forse troppo. Un conto è la sfida e l’aspettativa verso se stessi, che fa crescere e gratifica; un conto è l’aspettativa altrui, legata al giudizio, alla vergogna di non essere abbastanza, alla paura di deludere chi ci è accanto.
Una delle frasi che ho sentito pronunciare di più negli ultimi anni è “i giovani non sanno cosa sia il sacrificio”; “i giovani non hanno alcuna voglia di lavorare o di fare la gavetta”; “se avessero minimamente vissuto ciò che ho vissuto io non sarebbero così”. Ma, esattamente, cosa indichiamo con il termine gavetta? Oggi, per fortuna, sono tanti gli strumenti a disposizione per conoscersi, sono infiniti i metodi per apprendere le dinamiche contrattuali, sono disparati i modi per preservarsi e tutelarsi. Il mondo si è evoluto, così come i concetti si sono modificati: un tempo non esisteva il computer, così come il cellulare; non esisteva il kindle, così come non esisteva la reflex. Una volta rinunciare a qualcosa che non rientrava nelle proprie mansioni era impensabile: si trattava di lavoro e, in quanto tale, lo si doveva fare e basta; nel 2022, invece, possiamo avere facoltà e diritto, dopo studi e sacrifici, con maggiore consapevolezza, di decidere cosa fare e cosa non fare, compatibilmente con le esigenze e le necessità personali.
Per quale motivo dovrei far caffè o fotocopie se il mio ruolo è un altro? Per quale motivo dovrei andar a vivere da solo se al momento non posso permettermelo? Perché dovrei avere un lavoro fisso che mi rende infelice se ho altro da poter valutare?
La fretta è nemica del tempo e lo sarà sempre. Respiriamo, piuttosto, e riflettiamo.

Seneca ci mette davanti al paradosso della vita umana: “il tempo è il bene più prezioso per l’uomo, ma è anche quello che si spreca con più facilità.” Non sprechiamolo, ma coltiviamolo, a nostro modo, con i nostri modi, seguendo i nostri desideri. Senza fretta, appunto.